Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale

Nel 1993 un articolo del politologo americano Samuel P. Huntington aprì uno scenario di riflessione, dalle conseguenze anche politiche assolutamente attuali, con la guerra Russo-Ucraina.

Nel 1993 Samuel P. Huntington scrisse un articolo per Foreign Affairs che consegnò alla storia un’espressione che suona come una profezia: “The Clash of Civilization?”, in italiano “Lo scontro delle civiltà?”.

Il punto interrogativo scomparirà in una monografia tre anni dopo, con il titolo più esplicito: “The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order”, nella versione italiana: “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”.

La monografia seguiva e replicava a quanto pubblicato da Francis Fukuyama, nel suo altrettanto famoso ed eloquente articolo di un anno prima: “The End of History and the Last Man”, in italiano: “La fine della storia e l’ultimo uomo”.

Per Fukuyama la vittoria del Liberismo sul Comunismo, sgretolatosi pochi anni prima, era l’inizio e allo stesso tempo la fine di un processo di evoluzione della storia umana, non si può quindi idealizzare un modello socio-politico che non sia quello democratico.

Secondo Francis Fukuyama l’umanità avrebbe raggiunto il suo traguardo, i conflitti sarebbero quindi riconducibili ai Nazionalismi tradizionali tra gli Stati secolarmente rivali contrapposti a forme di globalismo.

Su quest’ultimo punto la profezia non sarà erronea, sulle premesse invece, cioè la fine della storia, Fukuyama rivedrà il suo pensiero.

Huntington critica l’approccio di Fukuyama creando le premesse di una vera e propria Profezia.

“Altro che fine della storia, qui ne sta cominciando un’altra: lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”.

Come scrive Samuel P. Huntington: “La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologia né economica.

Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte di conflitto principale saranno legate alla cultura.

Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà.

Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale.

Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro”.

La profezia diventa tangibile agli occhi del mondo otto anni dopo, l’11 settembre 2001 e continueremo nel febbraio 2022.

Per molti Samuel P. Huntington appare, ancora oggi, piuttosto che un grande analista politico, un sostenitore dello scontro di civiltà.

Ma come sempre i critici si fermano alla superficie, la tesi più interessante riportata da Samuel P. Huntington sarà la meno discussa e ovviamente verrà messa in disparte.

Samuel P. Huntington profetizza che nel futuro i conflitti saranno culturali perché le identità culturali si “cristallizzeranno”: “L’accresciuta importanza dell’identità culturale. è in larga parte il risultato della modernizzazione socioeconomica verificatasi sia a livello individuale, dove alienazione e disorientamento creano il bisogno di più strette identità, sia a livello sociale, dove l’accresciuta forza e le maggiori potenzialità delle società non occidentali stimolano il risveglio delle identità e culture autoctone”.

Samuel P. Huntington prosegue: “le civiltà non hanno confini nettamente delimitati, non hanno un inizio e una fine precisi. L’uomo è in grado di ridefinire, e lo fa, la propria identità, cosicché forma e composizione delle civiltà vengono a cambiare nel tempo.

Le culture dei popoli interagiscono e si sovrappongono, di modo che anche il livello di somiglianza o di diversità tra le culture delle singole civiltà può variare considerevolmente.

Ciononostante, le civiltà sono entità estremamente rilevanti e i confini che le separano, benché raramente ben definiti, sono confini reali.”

Proviamo a suddividere le civiltà, secondo Huntington, nel mondo ne esistono nove: la sinica, l’occidentale, la giapponese, l’ortodossa, l’indiana, l’islamica, la latinoamericana, la buddista e probabilmente anche l’africana.

Huntington ha il merito di riportare al centro dell’attenzione, (per primo), quello che ormai sembrava diventare un dato di fatto:

Le identità si definiscono culturalmente e non più per semplice appartenenza di cittadinanza allo Stato-nazione.

Un’identità culturale travalica i confini nazionali, le barriere tra uno Stato e l’altro e trova nuovi consensi che hanno legami a interessi e sentimenti comuni, a storie condivise, a visioni del mondo simili.

Il mondo deve essere consapevole che tutto questo può generare scontri, conflitti, violenze.

In nome della globalizzazione, soprattutto economica, si è sacrificato troppo delle identità dei popoli, ora ne paghiamo le conseguenze.